
L’ultimo incontro con Lelio Mazzarella, collaboratore di Alfonso Maria Liquori e del Nobel Max Perutz negli anni sessanta, avvenne nel 2009, a Spaccanapoli. Ci intrattenemmo in un rapido saluto. Tra i miei professori di Università, era stato l’unico che avevo avuto modo di salutare in occasione della celebrazione pubblica dei suoi settant’anni, tenutasi nel complesso della Facoltà di Scienze dell’Università “Federico II” a Monte Sant’Angelo nell’ottobre 2008. Ero già in pensione dalla fine del 2007, e mi rividi anche con altri miei colleghi di corso – Salvatore Andini, Guido Di Lorenzo e Roberto Napolitano. Nella stessa occasione, considerando conclusa la mia vicenda accademica, avevo comunicato al professore Franco Salvatore, anch’egli lì presente, l’intenzione di annullare l’incontro con il Preside della Facoltà di Medicina dell’Università del Molise, al quale, sapendo che ero in possesso dell’idoneità a Professore associato, mi aveva invitato il giorno prima in vista di una mia possibile chiamata presso quella sede.
Di Mazzarella seguii due corsi distinti, entrambi culminati in episodi particolarissimi. Al termine del mio esame di Esercitazioni di Chimica Fisica I, forse tradito dalla cadenza cilentana, gli si annegò in gola un indecifrabile “ventisè”, che cominciò a segnare sul libretto. Avevo svolto una buona prova pratica ed ero andato benino all’orale. Mi sarei aspettato, perciò, almeno 27, e gli chiesi di ripetermi il voto. Inutile dire che ribadì un “ventisè” indistinguibile dal primo, e non mi rimase che accettare. Poi trovai sul libretto un “27” corretto in “26”. Ho sempre pensato che avesse voluto penalizzarmi perché mi ero iscritto in ritardo al corso di laboratorio e/o perché, nel corso di una lezione pomeridiana, mi ero fatto sorprendere con gli occhi che mi cascavano dal sonno (studiavo di notte, a quei tempi). Ma qualche anno dopo riequilibrò il suo giudizio. Al momento del voto all’esame di Chimica Fisica II, confessò il suo imbarazzo. Il fatto è che il collega con il quale avevo concordato di affrontare la prova (a quei tempi erano consentiti, a coloro che avessero studiato insieme, i cosiddetti “esami di gruppo”) era più d’una volta rimasto “impallato”, a differenza di me, che ero stato sempre pronto ed esauriente in tutte le risposte. Sicché, secondo gli accordi, il professore si vide costretto ad attribuire ad entrambi lo stesso voto, bilanciando il mio con quello del mio compagno, e la media risultò essere (30+24)/2 = 27. Poi, nell’ascoltarne il rammarico per la penalizzazione che avrei subito, confermò il “27” al mio compagno, e corresse il mio in “28”, così riattribuendomi, pur non serbandone memoria, il punto che mi aveva tolto all’esame precedente. Di queste due correzioni resta traccia nel mio libretto universitario. Come ulteriore curiosità, aggiungo che, in ambito scientifico, il valore medio di una serie di misure sperimentali, integrato da un’incertezza opportunamente calcolata, è considerato la stima più attendibile del valore vero, che non è conoscibile. A conti fatti, la mia padronanza della materia era stata accuratamente valutata in “27 ± 1”. Quando si dice la scienza!
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